C’era una volta (e c’è ancora) il pranzo di Natale

C’erano una volta, sulla tavola imbandita del 25 dicembre, il cappone, i ravioli in brodo e il panettone.

C’erano e ci sono ancora il prosciutto crudo riserva speciale del salumiere, il salame nostrano o Milano, che ha la fetta più elegante, il cotto magro senza polifosfati (gli scienziati si chiedono invano da decenni perché in mezzo all’abbondanza non debba mai mancare il tipico companatico da cena in clinica). E poi l’insalata russa, chiamata da danesi e tedeschi insalata italiana, la terrificante anguilla in carpione che si dice piacesse alla nonna sebbene lei non l’avesse mai assaggiata nemmeno per sbaglio e, malgrado sia morta da quindici anni (la nonna, ma, considerato il colorito grigiastro, forse pure l’anguilla), qualcuno ritiene suo dovere acquistare il capitone, che invecchierà in frigo per settimane (oppure verrà inumato in freezer per essere poi riesumato l’anno seguente). A fargli compagnia ci saranno mostarda, nervetti, sottoli e sottaceti vari, che prima faranno la muffetta, poi cercheranno di prendere vita propria e infine approderanno nell’umido.

 

Indispensabile è il paté, quello alla milanese dotato della famigerata gelatina: così, mentre la metà dei commensali ne celebra le virtù, l’altra metà cerca di portare a termine elaborate operazioni di camouflage nel tentativo di nascondere la suddetta gelatina tra i resti della salsa cocktail dei gamberetti e i residui dei canapè. I canapè sono un altro must. Per motivi che sfuggono alla logica, essi risultano per metà molto attraenti, per un quarto accettabili e per l’ultimo quarto assommano in sé la tristezza del funghetto solitario annegato nella maionese e l’afflizione delle tre uova di lompo appoggiate su un giaciglio marroncino di salsa tonnata. La Sovrintendenza Mondiale dei Canapè ha deciso che è così: uno su quattro deve sembrare immangiabile.

 

Altro grande protagonista è il salmone affumicato, che a nessuno è dato gustare con l’opportuno crostino caldo e tostato a dovere. No, esso è per regola freddo, cosparso o di chilotoni di burro oppure ne ha sopra un picogrammo, molliccio oppure sezionabile solo tramite motosega. Alcuni si ostinano a presentare sulla tavola natalizia il panettone gastronomico, che consta nella quasi totalità dei casi di un oggetto realizzato in truciolare intervallato da strati di malta di colore diverso, ma che sanno tutti di colla per legno.

 

Finito il pantagruelico antipasto ci si prepara ai ravioli in brodo, che sono buoni ma sempre meno di quelli che si sono mangiati all’Osteria del Raviolo Buono in compagnia di una brigata molto più divertente di quella con cui tocca trascorrere questo dì di festa. Anche il brodo presenta vaste problematiche: c’è chi lo preferisce di gallina, chi misto, chi magro, chi grasso, chi asciutto.
Verso le sedici arriva il secondo: cappone, arrosto, bollito misto. Alcuni, mostrando incredibile audacia, presentano a tavola il pesce. Ma tanto ormai si mangia e si parla per inerzia, avendo i trigliceridi preso il sopravvento sulle capacità neuronali e i reiterati brindisi obnubilato la capacità di distinguere un tacchino da una cernia.E finalmente, sul tardi, giunge il momento del panettone o pandoro o chi per essi. Tali specialità dolciarie risultano in molti casi irriconoscibili, modificate come sono con coperture e forme astruse quanto elaborate e da ripieni vari. Sembrano frutto di esperimenti genetici dell’Area 51, ma è necessario sdilinquirsi in espressioni di tripudio per l’originalità del dolce natalizio in centro al desco. Poi, per togliersi il sapore del panettone integrale al mango e bacche di goji o del pandoro glassato ripieno di crema al mascarpone (però ricetta light), ci si può sfinire di frutta secca e torrone.

 

In tutto ciò bisogna fare i conti con i parenti vegetariani, i vegani, i legnani (quelli che mangiano anche le gambe del tavolo), con quelli che si nutrono solo di alimenti bio, quelli che i carboidrati guai a nominarglieli. Il dato positivo, oltre al fatto che per fortuna i brianzoli non hanno il cenone della Vigilia perché il 24 è considerato giorno feriale, è che ogni tanto a Natale arriva qualcuno di nuovo, che porta nuove tradizioni, nuovi colori, nuovi pensieri, nuove idee: perché, grazie al Cielo (non è forse per ringraziare appunto il Signore che ci troviamo a tavola il giorno del suo compleanno?), il mondo si amplia (anche se non vogliamo) e la giovinezza (sebbene non la nostra) avanza. Per fortuna non nello stesso modo in cui avanza il capitone.

 

«Tutta la storia umana attesta che la felicità dell’uomo, peccatore affamato,
da quando Eva mangiò il pomo, dipende molto dal pranzo
»

(Lord Byron)

Bellavite NonSoloCarta vi augura buone feste!

Social: